Copie del libro di Massimo Russo, “Statosauri — Guida alla democrazia nell’epoca delle piattaforme”, Quinto Quarto Edizioni: Faenza, 2021, pp. 208, pronte per la spedizione

Alla ricerca di una nuova tecnologia politica nell’era delle piattaforme

Mondo digitale e democrazia, Stato-nazione e confini, diritti e ibridazioni sociali. Riflessioni intorno a “Statosauri”, di Massimo Russo

6 min readApr 27, 2021

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Andiamo subito al dunque: qualunque mestiere facciate o abbiate fatto, se siete interessati a riflettere in maniera adeguata sulla cultura del nostro tempo, sulla realtà politica, economica e tecnologica che ha radicalmente trasformato la società, dovete leggere Statosauri. Guida alla democrazia nell’epoca delle piattaforme, di Massimo Russo. Uno di quei libri che mettono in moto il cervello, costringendoci a osservare il mondo da un’angolazione insolita e perciò più utile.

In realtà, credo di non aver mai scritto una recensione per un libro, anche in questo caso perciò si tratta di una scusa per raccontare ciò che nel mio cervello questo libro ha messo in moto. Con una doverosa avvertenza: Massimo Russo è un amico, anzi di più, è una persona con la quale ho condiviso professionalmente, in diverse fasi, il percorso di scoperta e riflessione intorno al digitale. In molte pagine di Massimo sento l’eco delle cose che ci siamo detti, degli esperimenti che abbiamo fatto e delle battaglie che abbiamo condotto con passione (e qualche frustrazione) per una ventina d’anni, insieme a tanti altri amici. Parlando del suo libro non ho dunque alcuna pretesa di obiettività, piuttosto una rivendicazione di “partigianeria”: mi ritrovo in quello che scrive, in un certo senso penso di farne “parte”.

La Storia scandita dalla tecnologia

Il grande pregio di Statosauri è la sua chiave di lettura della realtà, la proposta di una scansione della Storia del mondo sulla base delle tecnologie che ne hanno abilitato i processi sociali, culturali e politici. Rifacendosi all’uso invalso per la preistoria di indicarne la periodizzazione a seconda che gli uomini usassero la pietra, il rame, il bronzo o il ferro, Massimo propone di parlare di una “età della stampa” (a partire dalla invenzione di Gutenberg), di una “età delle macchine” (a partire dalla invenzione della macchina a vapore), e di una “età della rete” (a partire dalla prima trasmissione di dati su Arpanet nel 1969). Cruciale, per il suo ragionamento, è la proposta di un sotto-periodo dell’età della rete, quello che dalla fine del secolo scorso informa di sé il mondo e che chiama “età delle piattaforme”.

La tesi fondamentale ed illuminante del libro è che lo “Stato nazione”, concetto e struttura solidificatasi a partire dalla pace di Westfalia del 1648, già da tempo in crisi, è ormai una “tecnologia politica” incapace di rispondere alle crisi e di gestire i conflitti che le tecnologie digitali dell’età delle piattaforme creano, insieme alle grandi opportunità che aprono. Anzi, spesso, i nuovi problemi e i nuovi conflitti sono l’altra faccia delle nuove opportunità. Il digitale — sintentizzo il ragionamento — non è semplicemente un altro strumento per fare le cose che si sono sempre fatte, magari migliorandole, in modo più efficiente ed efficace. Il digitale è una rivoluzione che cambia tutto, perché supera per sua natura lo spazio (e il tempo), anche per questo le grandi piattaforme che tutti conosciamo — Google, Amazon, Apple, Facebook e non dimentichiamoci delle cinesi — si sono imposte come i nuovi poteri di fatto che confliggono con gli interessi, reali o percepiti, delle strutture statali, che invece si basano sul territorio, sulle frontiere e sulle identità, sul limes fisico, culturale e politico.

Come è possibile uscire da questa tensione, da queste contraddizioni che alla fine — ricorda il libro — si scaricano sulle persone e suoi loro diritti? Occorre dotarsi di una nuova “tecnologia politica”.

Massimo Russo ricorda la risposta cinese a questo problema, aiutata dalla natura del regime e dalle dimensioni del suo territorio fisico ed umano: la totale coincidenza tra il mondo digitale con le sue piattaforme e l’onnipresente potere dello Stato, che le orienta e le sfrutta. Una situazione nella quale “la piattaforma è l’impero”. All’estremo opposto c’è il modello degli Stati Uniti, dove i valori dell’individualità e della libertà hanno consentito l’esplosione del fenomeno digitale e delle piattaforme stesse, che in qualche modo si sono poi sovrapposte allo Stato. Poi c’è l’Europa, frammentata, incapace di fatto a generare alcuna delle grandi piattaforme esistenti e che in questo momento non sembra ancora aver scelto da che parte andare, se cedere alle sirene della balcanizzazione della rete e della vita digitale, cedere allo strapotere delle entità ultra-statuali o trovare una propria via.

Europa e nuovo umanesimo

Nella sua “ricerca di un umanesimo, di un pensiero e di un ordinamento per l’epoca delle piattaforme”, Massimo è sostanzialmente un ottimista e pensa che l’Europa con tutti i suoi limiti attuali sia, per ragioni storiche e culturali, il soggetto meglio predisposto a creare la nuova tecnologia politica per l’età delle piattaforme, avendo diverse carte da giocare, tra le quali: “la più rilevante cultura dei diritti”, la certezza del diritto, una natura costitutivamente disposta ad accettare la diversità come ricchezza, una scala sufficiente.

Tra gli esempi forniti uno, assai importante, riguarda proprio il rapporto diretto con le grandi piattaforme digitali internazionali. Ricordando che i dati generati non hanno rilievo politico solo per la cosiddetta “privacy”, ma sono ciò che alimenta il motore del mondo digitale e sono anche riutilizzabili, Statosauri argomenta l’idea che l’Europa possa chiedere che i dati generati dai servizi digitali siano utilizzabili da tutti. In questo modo creando un terreno favorevole allo sviluppo di altre, innovative iniziative e — aggiungo io — creando un nuovo limite allo strapotere delle piattaforme stesse, paradossalmente infrangendone il limite dell’uso proprietario dei dati.

Una costruzione affascinante, che diventa ancor più affascinante nei capitoli che fanno un quadro della situazione economica, politica e sociale del mondo attuale. Un mondo, argomenta Massimo Russo, nel quale le tendenze alla globalizzazione non si stanno affatto riducendo, anzi con la pandemia si sono paradossalmente accresciute, a dispetto di quanto appare, i segnali contrari non sono “che rigurgiti”.

Qui mi permetto di evidenziare un punto di dissenso con Massimo, perché io sono più pessimista di lui. Ho la sensazione che in questi ultimi due decenni, non so se a causa ma certo in coincidenza con l’era delle piattaforme, il mondo nel suo complesso sia andato in una direzione diversa dal liberalismo ideale che sembra informare l’ottimismo di fondo di questo libro. La cultura anti-liberale, autoritaria o parafascista, è risorta nel mondo occidentale dalla grande parentesi settantennale del secondo dopoguerra e sembra avere i caratteri della permanenza e della possibile prevalenza.

Razionalità vs. identità

Gli inviti alla razionalità, a leggere le cifre del mondo com’è e non come lo si immagina (straordinaria la parte sul medico svedese Hans Rosling “che ha dedicato una buona parte della propria esistenza a ristabilire l’evidenza dei fatti sulle percezioni”), alla tolleranza, alla utilità della ibridazione, possono non bastare a costruire un nuovo paradigma sociale. Gli appelli identitari, per loro stessa natura esclusivisti, sono una forza potentissima, devono essere combattuti, ma non possono essere negati.

Che l’Europa in questo quadro possa svolgere un ruolo positivo, persino fondativo, è una cosa nella quale spero, insieme a Massimo Russo, ma che in questo momento non mi sembra particolarmente probabile. Specialmente se da una generica “Europa” passiamo a parlare della più concreta Unione europea, che in questo momento pare particolarmente priva di visione, preda dei particolarismi degli Stati membri e di forze politiche che, perse le vecchie bussole, non sembrano trovarne di nuove. Questo libro offre una prospettiva, un percorso conoscitivo e interpretativo, ipotesi che potrebbero e dovrebbero essere sviluppate, ma non senza grande fatica.

Il problema psicologico, culturale e infine politico è nelle premesse stesse: le tecnologie digitali hanno creato un universo multidimensionale, dove appunto cose come gli Stati nazione, la sovranità e la giurisdizione territoriali perdono il significato assoluto che hanno avuto per tanti secoli. Ma la persona umana è di forma tridimensionale e si muove — spesso inconsapevolmente — sulla quarta dimensione del tempo. Ora sta scoprendo che, in realtà, esistono N dimensioni, che non esiste un alto e un basso, un prima o un dopo nell’universo digitale e si spaventa, le gira la testa e metaforicamente vomita. Servirà un lungo, lunghissimo tempo perché questo non ci dia più fastidio. In fondo, in fondo abbiamo accettato tutti (insomma, quasi tutti) che la Terra è una palla e gira intorno al Sole, ma ancora tutti i giorni diciamo che il Sole “sorge” e “tramonta”.

Come andare dalla situazione attuale, alla creazione della nuova tecnologia politica che sostituisca gli inefficienti e spesso pericolosi Stati nazione, è dunque il problema che si pone a noi cittadini e ai nostri rappresentanti e che non è risolto. Statosauri , fotografa lucidamente una situazione, imposta il problema, indica delle possibilità, ma quel che c’è da fare, quello che si potrà in realtà fare, è ancora un libro tutto da scrivere.

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E’ possibile scaricare gratuitamente l’ampia e significativa introduzione del libro, le note e la bibliografia a questo link.

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Antico giornalista. Consulente di editoria digitale. Docente di Giornalismo digitale. Studioso di Storia contemporanea. Blog (2003/18): http://bit.ly/blogmario