Lettera aperta a Enrico Mentana
…e a chi è interessato a fondare o rifondare giornali nel mondo digitale
Caro Enrico,
sono un collega, leggermente più anziano di te e da due anni in pensione, che ha avuto la ventura di occuparsi per oltre metà della sua vita professionale di giornalismo digitale, guidando redazioni, formando giornalisti, suggerendo strategie editoriali. Mi piace molto la tua idea di “restituire qualcosa” di ciò che hai ricevuto in tanti anni di mestiere fondando un nuovo giornale online con una redazione di giovani. Anche a me piacerebbe contribuire, “restituendo”, intanto, una parte di ciò che credo di aver compreso di giornalismo e cultura digitale dal lontano luglio 1997.
Lo so, i consigli non richiesti sono di solito poco graditi, spero tuttavia questi possano esserti utili almeno in parte nella progettazione del giornale e nella organizzazione della redazione. Comunque, se potranno un po’ aiutare quanti si sforzano affinché il giornalismo professionale abbia ancora un ruolo nel tessuto democratico italiano ne sarà valsa la pena e costoro dovranno ringraziare anche te e la tua idea del give back giornalistico che mi ha ispirato. :-)
Nella prima parte di questa lettera troverai alcune questioni di carattere generale sul giornalismo nell’era digitale, analisi e convincimenti che ho sviluppato nel corso di questi anni e che sono il fondamento dei suggerimenti pratici e delle scelte concrete che propongo. Se sei curioso, puoi saltare il predicozzo e passare direttamente ai suggerimenti su “Contenuti”, “Metodo”, “Forma”, “Modello di affari”, “Organizzazione del lavoro” e “Selezione redattori” — per le motivazioni culturali c’è sempre tempo.
Una nuova cultura
La cosa che ti invidio di più, caro Enrico, è la possibilità di cominciare una impresa giornalistica, di formare una redazione partendo da zero. Almeno teoricamente non devi fare i conti con prodotti nati in epoca pre-digitale e con le culture legittime che essi esprimono. Il primo consiglio è dunque questo: sfrutta al massimo questa opportunità, cerca di creare un organo di stampa che sia “digitale dentro”, non tanto per gli strumenti di diffusione che utilizza.
Nel farlo tieni presente tuttavia che la cultura professionale italiana è, per grandissima parte, pre-digitale — a prescindere dall’età anagrafica dei giornalisti e delle giornaliste. Anche i più giovani, inevitabilmente, hanno davanti agli occhi e spesso nel cuore i modelli, le aspirazioni e i metodi che la nostra generazione ha impresso al giornalismo italiano e dalle quali sarà difficile distaccarli. Tu e i tuoi collaboratori dovrete in gran parte smontare queste pre-comprensioni e non sarà facile, (sempre più facile comunque, che rimodulare la cultura professionale di bravi colleghi che nel frattempo sono chiamati a fare i prodotti di sempre, credimi).
Si tratta di accettare proprio una nuova cultura, perché il digitale non è solo un modo diverso, magari più veloce ed efficiente, di fare le cose che abbiamo sempre fatto, non è un insieme di strumenti da imparare, ma una logica diversa. Tanto più che nessuno di noi ha in tasca LA soluzione della crisi strutturale del giornalismo, chiunque affermi di sapere o di saper immaginare quale forma il giornalismo professionale assumerà nei prossimi dieci anni è destinato ad essere smentito. L’universo digitale è ancora in radicale trasformazione e occorre quindi distinguere le tendenze e le caratteristiche generali dei fenomeni dalle soluzioni contingenti. Ne segue un secondo consiglio di carattere generale: non progettare un giornale “online”, progetta un giornale digitale aperto a ogni canale disponibile, anche se ora pensi di necessità al web (v. oltre).
Le aziende editoriali e le redazioni giornalistiche sono spesso vittime di un equivoco di prospettiva: pensano se stesse come produttrici e venditrici di “contenuti”. In realtà da sempre le aziende editoriali d’informazione hanno fatto anche molte altre cose (ad esempio “vendere lettori” agli inserzionisti). Più in generale, ciò che abbiamo finora venduto è stata l’opportunità di creare “relazioni”: la possibilità per un candidato sindaco di farsi conoscere, la possibilità per una vecchietta di denunciare al sindaco una buca davanti a casa, la possibilità di un ammalato di trovare la farmacia aperta il sabato notte, la possibilità per le aziende di segnalare ai possibili acquirenti i loro prodotti, ecc. ecc. I contenuti (redazionali, di servizio o pubblicitari) erano e sono i mezzi che abilitano le relazioni. Il modello di affari e l’organizzazione del lavoro dovranno rispettare questa consapevolezza
Essere culturalmente “digitali” vuol dire comprendere e fare i conti fino in fondo con la rivoluzione che il digitale ha operato: la fine della rendita di posizione tecnologica, creata dalla relativa scarsità delle piattaforme di comunicazione nel mondo analogico: se il cittadino per entrare in contatto col sindaco non ha più necessariamente bisogno di noi, se il candidato per farsi conoscere non ha più necessariamente bisogno di noi, se un ammalato per scoprire la farmacia di turno non ha più bisogno di noi, se l’azienda per far conoscere il proprio prodotto non ha necessariamente bisogno di noi, dobbiamo dar loro una ragione per usarci, dobbiamo diventare per loro “essenziali” anche se non siamo più “inevitabili”.
Ciò implica, fra l’altro, passare da una mentalità e da una prassi di comunicazione da uno a molti (“broadcast”), a una di “condivisione/collaborazione”, da giornalisti che parlano alle comunità, a giornalisti che parlano nelle comunità. Le comunità, i singoli cittadini dovranno avvertire che hanno un interesse alla esistenza e alla sopravvivenza della testata, un interesse contingente — perché viene incontro a bisogni specifici — e un interesse di lungo periodo. Questo interesse è il valore della testata, sia in termini giornalistici (influenza sociale) che in termini di affari (acquisto, membership).
Un giornale “digitale dentro” non è un giornale che esce sul web, è un giornale che fa i conti fino in fondo con la sua marginalità strutturale nel sistema delle relazioni umane nell’era digitale e offre ai cittadini motivi sufficienti per utilizzarlo e per sostenerlo, per ciò che propone (contenuti) e per il modo con il quale lavora (metodo).
Contenuti
Se è vero che non “vendiamo contenuti” ma relazioni, è pur vero che lo facciamo prevalentemente fornendo contenuti a una comunità, occorre perciò interrogarsi su quali contenuti possano essere utili allo scopo e quali no.
- I contenuti tradizionalmente offerti da un giornale sono oggi largamente “fungibili”, esistono cioè nell’universo digitale contenuti sufficienti a soddisfare le stesse necessità informative, forse non buoni come i nostri, ma “buoni quanto basta” a seconda dei contesti. Occorre concentrarsi sui contenuti “non fungibili”.
Nota bene: i contenuti “non fungibili” non sono necessariamente le “analisi”, gli “approfondimenti” rispetto alle “news” — è pieno di analisi e approfondimenti “buoni quanto basta” in certi contesti. - Occorre abbandonare un’idea “generalista” della propria offerta, “supermercato dove ciascuno sceglie quel che gli serve”, anche perché i “supermercati” ora sono altri (Facebook, Google…). Occorrerà concentrarsi sugli argomenti e i canali dove sia possibile fare la differenza per la vita delle comunità di riferimento. Scegliere “nicchie”, “silos” di argomenti sui quali offrire ciò che nessun altro può offrire, rendersi indispensabili.
- Non fatevi prendere dalla “ansia del rullo”, l’aggiornamento continuo seguendo ogni respiro e battito della notizia: c’è chi lo fa già e, a prescindere dall’utilità del prodotto, non avreste alcun vantaggio competitivo. D’altra parte gli utenti che spasmodicamente ricaricano la home page di un sito di informazione in cerca di aggiornamenti sono una minoranza (spesso giornalisti, comunicatori e politici), il grosso degli utenti considerati “fedeli” visita il sito circa tre-quattro volte a settimana, non più volte al giorno, e il log delle visite mostra che gran parte dei materiali consultati è stata pubblicata giorni, mesi o anche anni prima. Scrivete e pubblicate quando avete qualcosa che valga la pena di scrivere e di pubblicare.
- La scelta e l’orientamento nei confronti di contenuti non propri (curation) è una delle funzioni più richieste nel mondo digitale. Esalta il ruolo di orientamento della testata, offre la possibilità di evidenziare contenuti che non si possono produrre in proprio, fidelizza in maniera trasparente il rapporto con la comunità. Se siamo in rete (e lo siamo, che lo vogliamo o no), sfruttiamola questa rete: in una rete un nodo con il maggior numero di collegamenti con altri nodi è un nodo “più potente”, di maggior valore.
- I contenuti propri devono essere immaginati sin dall’inizio, nella fase della loro programmazione, prescindendo dai canali distributivi esistenti o che verranno. Il comun denominatore digitale, organizzato in una solida e durevole architettura dei dati, consentirà di utilizzare i contenuti sui canali, nei tempi e con le modalità che le circostanze di rilevanza giornalistica e di utilità aziendale detteranno nel futuro.
- In particolare i contenuti dovranno essere compatibili con la fruizione digitale, che è decontestualizzata. Ciò implicherà una diversa forma di scrittura e organizzazione dei materiali con l’aggiunta e l’eliminazione di informazioni in modo da rendere ogni item informativo auto-comprensibile, in altri contesti temporali e in altri cluster informativi.
- “Digitale” non è solo “multimedialità”, nel senso che si poteva dare alla parola 10–15 anni fa, cioè testi+foto+video+audio. Il digitale consente di immaginare, progettare e realizzare servizi giornalistici che in altri ambienti non sarebbe possibile neppure concepire, ad esempio archivi che raccolgano e organizzino tutti i dati e documenti
A titolo di puro esempio: Il Crollo del Ponte di Genova: La Strada verso la Tragedia, del New York Times, oppure il norvegese The neglected bridges, di VG.no. - Timeo videos et dona ferentes! Lo so, dovunque ti giri, ti dicono che il video è il futuro del web, che lì è dove resiste ancora un po’ di pubblicità ecc. Un po’ vero, per ora, ma non contarci troppo. In particolare non è tanto vero per i video di news. Inoltre — lo sai bene — produrre materiali video significativi, che facciano la differenza (= non “fungibili”, v. sopra) è, ancora, una operazione produttivamente costosa.
Consigli:
> Crea una piccola, anche piccolissima, struttura video, ma altamente qualificata e piena di idee, che produca magari solo una cosa alla settimana, una cosa che sia non replicabile e abbia una ragione intrinseca per essere in formato video (es.: che ci siano immagini in movimento più significative dell’autobus romano che attraversa le orecchie del cronista politico davanti a Palazzo Chigi, del quale la tv non può fare a meno, un giornale online sì)
> Per il resto investi nel video solo e strettamente in base ai possibili ricavi. “Non-video” spesso conviene sia dal punto di vista narrativo, sia da quello economico.
Metodo
- Alla fine il maggiore vantaggio competitivo di una nuova testata nel panorama italiano non sarà nei contenuti offerti, ma nel metodo con il quale le informazioni sono raccolte, vagliate, selezionate e fornite.
- Storicamente il giornalismo italiano, anche nelle sue espressioni migliori, si è per lo più sviluppato secondo gli stilemi del “cronista onnisciente”: il giornalista va, osserva, parla con le fonti e poi racconta il risultato. Il “come” è arrivato a quel risultato è di solito considerato secondario, le fonti spesso non sono citate neppure quando non c’è alcuna necessità di riservatezza, ad esempio per le informazioni tratte dai mattinali della polizia o dei carabinieri. Il giornale (online, di carta, telepatico…) che per primo offra programmaticamente un approccio di “massima trasparenza possibile” e ne dia conto ai cittadini, si posizionerebbe in posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti.
“Massima trasparenza possibile” non vuol dire, naturalmente, che non possano esistere fonti riservate, ma che in via normale il giornalista rivela al cittadino come è venuto a sapere ciò che è venuto a sapere, come ha verificato l’informazione che ha ricevuto, non riferisce informazioni delle quali non è certo e se non conosce una informazione dichiara la sua ignoranza. Fornisce cioè tutti gli elementi possibili perché il cittadino interessato possa “risalire l’albero delle informazioni”.
Massima trasparenza possibile vuol dire offrire al cittadino i materiali di base utilizzati per il servizio/inchiesta: basi di dati, documenti e interviste integrali, ecc., dai quali ha tratto le citazioni e gli esempi contenuti nel pezzo.
Massima trasparenza possibile vuol dire fornire sempre le ragioni delle proprie scelte.
Massima trasparenza possibile vuol dire correggere apertamente gli errori di fatto, inserendo per esempio una nota redazionale nella stessa pagina che indichi l’errore precedentemente commesso.
Massima trasparenza possibile vuol dire stabilire alcune linee guida e criteri sull’uso delle fonti, sulla loro citazione, sui virgolettati, sulle interviste, sulle correzioni, sui rapporti tra redazione e cittadini, sui doveri dei giornalisti, ecc. (No, le “carte deontologiche” non bastano).
Massima trasparenza possibile vuol dire rendere pubbliche queste linee guida e metterle a fondamento di un patto di co-interessenza con i cittadini/utenti. - Suggerimento pratico: cominciate ad applicare tutto questo nei servizi di Cronaca. Non sarà facile, ma se riuscite in quel campo sarà più agevole applicarlo anche in settori più “passionali” come la Sport e la Politica.
Forma
- Una delle caratteristiche più rivoluzionare dell’ambiente digitale è che i contenuti sono “liquidi”; esistono cioè indipendentemente dalla forma della loro rappresentazione. E’ un concetto particolarmente problematico per giornalisti abituati a ragionare in termini di “pagine” o “sfoglio” di un quotidiano, di “scaletta” di un tg o di un gr. In altre parole: nel mondo analogico le informazioni sono fruite in un contesto di altre informazioni offerte in un “pacchetto”; nel digitale il contenuto singolo, lo item informativo, fa premio sul pacchetto.
- Occorre dunque che la redazione si abitui a pensare ai suoi item informativi, diciamo ai suoi “articoli”, a prescindere dalla pagina nella quale saranno pubblicati e dal momento nel quale saranno pubblicati. Un articolo potrà essere inserito in un sito web (ed essere visualizzato su computer o apparecchio mobile), potrà essere veicolato con una newsletter, condiviso su una piattaforma social, scoperto su un motore di ricerca, aggregato con un lettore di feed RSS/XML, ecc. Lo stesso articolo sarà letto domani, o tra un mese o tra due anni e dovrà essere ancora comprensibile per essere utile al cittadino del futuro.
- Conseguenze per la progettazione del tuo “giornale online”: la home page del sito, benché importante, è solo un prodotto tra gli altri del giornale stesso, non il prodotto. A maggior ragione evita di spendere troppe energie sulle cosiddette “home page” di settore.
- Proprio perché la maggioranza di noi è influenzata dal giornalismo inteso come “pacchetto”, tendiamo a dare una eccessiva importanza alla home page fruita da computer desktop, alla sua chiara bidimensionalità che ci ricorda la prima pagina di un quotidiano (apertura, spalla, taglio medio, taglio basso…). In realtà l’utente, quando consulta la home page di un sito d’informazione lo fa con un apparecchio mobile, che sostanzialmente può organizzare i materiali solo verticalmente, in modo lineare.
- Consiglio: invertite il processo abituale nel giornalismo online “storico”, concentratevi sulla progettazione e sulla gestione redazionale della home page mobile e lasciate che quella desktop si ridefinisca automaticamente in base al c.d. responsive design.
- Concentra le risorse umane e di tempo nella progettazione e nella gestione redazionale sul singolo elemento informativo e sull’ambiente della sua fruizione (vera pagina di atterraggio dell’utente sul tuo sito): al limite, meglio avere buone pagine di dettaglio e una home page automatica, che una home page lavoratissima e pagine di dettaglio tirate via.
Modello di affari
- Il digitale ha distrutto per sempre il tradizionale modello di affari delle aziende giornalistiche, quello del doppio mercato copie+pubblicità, nel quale la missione giornalistica (massimizzare l’influenza sociale) e la missione economica (massimizzare i ritorni) si rafforzavano reciprocamente: più gente ti leggeva, più soldi entravano (prezzo di copertina+pubblicità).
- Oggi il massimo dell’influenza sociale (es.: presenza a tappeto sui social, nei risultati dei motori di ricerca, ecc.) non è più garanzia di ritorni economici adeguati all’investimento redazionale.
- Non c’è un un’unica soluzione, la sola certezza è che quel modello di affari, creato da circostanze tecnologiche specifiche, non tornerà più e al suo posto non ci verrà un unico nuovo modello. Qualunque modello dovrà comunque essere ottimizzato per le due missioni, ora potenzialmente confliggenti: perseguire il massimo di influenza sociale compatibile con gli investimenti e la struttura dei costi necessari per la produzione.
- PUBBLICITA’. Può e deve essere una fonte di ricavo, ma non certo l’unica. Come per i contenuti giornalistici, anche per quelli pubblicitari l’azienda editoriale deve fornire una esperienza speciale, non fungibile, un’esperienza legata cioè al proprio specifico pubblico.
Condizioni:
* Avere un rapporto stretto con il proprio pubblico e conoscerlo
* Avere una struttura e una cultura che possa raccogliere, organizzare e gestire i dati. Organizzarsi e comprendersi cioè come azienda di tecnologia, non solo come media. - EVENTI. Molti organi di stampa all’estero e in Italia organizzano “eventi”, che possono essere fonte di ricavi importanti, sia in termini di sponsorizzazione, sia eventualmente in termini di vendita di accessi. Condizioni:
> Creare e gestire un rapporto con il proprio pubblico di riferimento
> Considerare gli eventi come un altro canale editoriale, cioè di competenza della redazione, non (solo) di marketing
> Prevedere una funzione redazionale dedicata, coincidente o in coordinamento con la funzione di gestione comunitaria (community management, v. oltre). - CONTRIBUTO UTENTI. In misura crescente i modelli di affari delle aziende editoriali digitali si affidano ai contributi degli utenti, ciò che un tempo per i giornali erano i ricavi delle copie vendute. Ma attenzione: non si tratta più semplicemente di “vendere” copie o abbonamenti, anche nei casi di internazionali di maggiore successo (cfr. Washington Post, New York Times….), gli utenti accettano di pagare l’organo di stampa perché si sentono parte dell’impresa e vogliono parteciparvi.
- Il meccanismo che sembra più efficace in questo rispetto è la cosiddetta “membership”, l’appartenenza all’organizzazione. Per i membri, soci o come li chiamerai, non basteranno pur utili incentivi materiali (premi, sconti, ecc.) tipici dei programmi commerciali di membership, serviranno invece meccanismi di associazione e partecipazione all’impresa comune. Esperienze di vario tipo hanno dimostrato prima all’estero e ora anche in Italia che l’utente è per esempio pronto a impegnarsi di persona e anche finanziariamente per il successo di un organo di stampa in cui crede — anche, in particolare, a pagare perché anche chi non paga possa accedere a quei contenuti.
> E’ un meccanismo contro-intuitivo rispetto alle logiche commerciali tradizionali, ma il digitale fa di questi scherzi! Basta pensare solo che il New York Times e gli altri organi d’informazione che utilizzano il c.d. metered paywall (un certo numero di articoli gratis al mese, oltrepassati i quali si deve pagare), hanno messo in piedi un meccanismo che apparentemente contraddice le logiche commerciali tradizionali: si premiano i clienti occasionali (che entrano gratis) e si penalizzano i clienti più fedeli (che devono pagare). Eppure funziona.
> Ci sono casi di grande successo nei quali la comunità di riferimento della testata è diventata parte stessa del lavoro della redazione. Programmaticamente, ad esempio, lo fanno quelli dell’olandese De Correspondent (presto anche in America come The Correspondent) e lo fanno regolarmente anche grandi testate come The Guardian (UK) e La Nacion (Argentina). - Consigli pratici:
> Proibisci a tutta la tua banda, giornalisti, addetti commerciali, tecnici, ecc. di usare le parole “abbonamento” e “abbonati”. Inventatevi qualunque altra terminologia (associazione-soci/membri? partnership-partner?), purché non sia quella derivata dalle funzioni commerciali. Il rischio, altrimenti, è che i migliori sforzi e investimenti in soldi, tempo e persone abbiano ritorni deludenti perché lasceranno alla redazione l’idea che — alla fin fine — sempre di vendere contenuti si tratti.
> Crea all’interno della redazione una funzione di community management (eventualmente in coordinamento con le funzioni commerciali e di marketing), che progetti e gestisca dal punto di vista giornalistico la partecipazione degli utenti alla vita e al lavoro della redazione.
> Fai in modo che l’intera redazione sia a bordo, non solo chi gestisce i community manager: interagire con la comunità, comunicare al suo interno, lavorare con e non solo per essa dovrebbe essere parte integrante del compito che assegnerai alle tue redattrici e ai tuoi redattori.
Organizzazione del lavoro
- Al vertice della redazione, diretta emanazione della direzione, ci dovrebbero essere idealmente tre figure (o tre funzioni):
> vicedirettrice/ore per gli Standard
> vicedirettrice/ore per la gestione della Comunità
> vicedirettrice/ore per la Cronaca (newsgathering) - Subito al di sotto potrà esserci un/a capo redattore/rice responsabile per la produzione dei diversi canali di distribuzione (attualmente, immagino, il sito web, ma anche newsletter, eventualmente video, ecc.). Perché non un’altra “vice direzione” Perché sia chiaro a tutti che le funzioni “superiori” di progettazione e realizzazione giornalistica prescindono dal contenitore o dai contenitori nei quali quei servizi sarannno rappresentati e che di queste funzioni la cura degli standard e della comunità fanno integralmente parte… vabbè, se proprio devi, crea pure un’altra vice direzione, purché ci siamo capiti e la capiscano i tuoi redattori e le tue redattrici.
[Nota bene: qui non si immagina per forza una redazione monstre, con quattro vice direzioni, dieci caporedattrici ecc. Lo schema indica solo le funzioni necessarie, non per forza i singoli giornalisti, esempio si potrebbero unificare le vice direzioni per gli standard e per la gestione della comunità] - Gli eventuali settori e relativi responsabili (Cronaca, Politica, Sport, ecc., sempre che pensi di averli) farebbero capo in prima battuta alla vice direzione per la Cronaca e poi si coordinerebbero con la/il capo redattrice/ore ed eventuali altri responsabili della produzione e post-produzione. Non è il vostro caso, ma in questo schema può anche prevedere una piccola redazione dedicata alla selezione e all’adattamento dei materiali digitali per un “canale-carta”, cioè per produrre un giornale stampato.
- Tanto nelle redazioni di settore, quanto nelle redazioni di produzione è opportuno inserire figure figure con formazione ed esperienza diverse da quelle classiche della “scrittura giornalistica”: ingegneri, statistici, informatici, architetti dell’informazione, tutti — suggerisco — con contratto giornalistico. Non hai bisogno di “tecnici” che mettano in forma “l’arte” della redazione, hai bisogno di giornalisti in grado di immaginare e realizzare contenuti e strumenti di informazione sin dall’inizio in forme e formati diversi.
- Nella misura in cui le risorse della tua impresa lo consentiranno, distingui le funzioni redazionali di chi si occupa di contenuti “di attualità” (breaking news e affini) da quelle di chi si occupa di contenuti “di lunga durata”, sono questi che danno respiro e futuro alla tua impresa giornalistica. Idealmente l’organizzazione del lavoro di un redazione digitale potrebbe essere rappresentata in questa semplice matrice:
- Se non non hai la possibilità di costruire redazioni distinte, è a mio avviso opportuno che sia chiarissima nel lavoro di tutti i giorni la distinzione tra la funzione del giornalismo “a vita breve” e quella del giornalismo “di medio-lungo periodo”
- Le redazioni, in particolare, dovranno abituarsi a generare più storie singole e meno cluster e a corredare le storie stesse dei tag (metadati descrittivi) che consentano alle stesse di entrare in correlazione con tutto ciò che non è stato ancora scritto e prodotto. Devono, cioè, impare a “scrivere per il futuro”.
Selezione redazione
Immagino che tu abbia già largamente deciso per quanto riguarda i tuoi collaboratori diretti alla direzione del giornale, qualora ciò non fosse o comunque per tutti quelli che dovessero trovarsi nella tua situazione suggerirei di partire “dall’alto” nella selezione della redazione. In particolare:
- Seleziona e nomina subito le persone che ricopriranno le funzioni di vicedirezione relative agli Standard, alla Comunità e alla Cronaca.
- Stabilisci con loro le linee guida della redazione su:
> Rapporti con la comunità
> Criteri di gestione sui social della testata e degli account dei singoli giornalisti
> Standard per la cronaca (citazione delle fonti, cosa entra nei virgolettati, verifica, responsabilità della catena di comando, ecc.)
> Principi e pratiche di correzione degli errori - Il resto, compresa la scelta delle persone per le alte funzioni di produzione, potrà seguire.
Criteri per la scelta
- Diversità di genere. Lo so, è sempre andata poco di moda nelle aziende editoriali, ma avere un numero di donne almeno pari a quello degli uomini nella tua redazione è il singolo criterio di maggiore impatto per costruire un giornale non solo “di qualità”, ma anche culturalmente diverso e perciò più appetibile rispetto a ciò che è già sul mercato. Naturalmente “fare a metà” non basta, se la metà maschile occuperà tutte le posizioni apicali e la metà delle femminile quelle meramente esecutive… ;-)
- Esperienze giornalistiche precedenti. Molti candidati esibiranno esperienze con altre redazioni. Suggerisco che in quanto tali, a parità di altri elementi, queste NON siano criterio di preferenza: pur pieni di qualità e buona volontà i colleghi e le colleghe più giovani non possono non aver subito l’influenza dalla cultura prevalente nelle redazioni con le quali hanno collaborato, che qui si propone di radicalmente innovare. Sono invece, ovviamente, da considerare un vantaggio i singoli servizi che dimostrino in modo puntuale: senso della notizia, chiarezza di esposizione di argomenti complessi, precisione e capacità di lavoro in collaborazione con altri giornalisti/testate e con la comunità.
- Esperienze “multimediali”. Utili, ma non fondamentali. Tutti, più o meno, scattano foto e girano video. Più importante cercare di avere in squadra un editor specialista, dotato di fantasia e capacità didattica, in grado di formare e orientare i colleghi.
- Impronta digitale. Verifica che cosa pubblicano i candidati in proprio: post su social network, video, audio, immagini. Valuta se e come interagiscono con i propri pari e con gli altri utenti. La qualità della “impronta digitale” lasciata racconta molto del/la giornalista, così come la consapevolezza che ne ha
- Strumenti digitali. Uso di fogli di calcolo (lo considererei fondamentale); generazione di mappe e timeline interattive (utile/importante); capacità di programmazione anche basica (rara, molto importante); capacità di strutturare database (rarissima, utilissima) — il tutto, ovviamente, accompagnato da sensibilità giornalistica.
- Cultura generale:
> Nozioni generali di Storia, Matematica, Scienze, Geografia, Arte, Musica, Letteratura… le si dà per scontate, ma varrebbe la pena sondarle un po’.
> A parità di altri requisiti io preferirei laureati in materie scientifiche (per diversità cultura, non per far loro “scrivere di Scienze”), finanziarie, ingegneristiche e manageriali.
> Requisito fondamentale per tutti (test): elementi basici di aritmetica/matematica. Es.: saper fare una percentuale (e viceversa: ricavare valori assoluti da una percentuale); conoscere la differenza tra media e mediana in una serie di valori; nozioni fondamentali di statistica. - Cultura giuridica:
> Costituzione e istituzioni: stabilisci alcuni “minimi” di conoscenza e sii inflessibile su questi.
> Procedura penale e civile: testali, se imbroccano sarà criterio di preferenza; se non imbroccano ma hanno altre qualità, prendili, pretendi che si aggiornino e poi testali di nuovo. - Etica:
> chiedi che ti spieghino come si comporterebbero in alcuni casi di scuola (non ci sono, necessariamente, risposte “giuste”, ma devono dimostrarti come si orientano in questo campo).
> L’accettazione delle linee guida sarà condizione assolutamente necessaria per l’assunzione. Fai una prima lista “abbondante” di possibili candidati all’assunzione, illustra loro le “linee guida”, dà loro il tempo di rifletterci e di rimandartele firmate per accettazione. Scegli tra quelli che sono pronti ad accettarli.
Ecco, caro Enrico, mi sono parecchio “allargato”, molte di queste cose sono ovvie e risapute, altre — lo riconosco — sono piuttosto controverse e tu, probabilmente, sei già oltre tutto questo nella progettazione del giornale, ma la fondazione di un nuovo organo d’informazione è una occasione preziosa per ragionare un po’ intorno a questo nostro mestiere e io ho approfittato dell’opportunità che hai fornito a tutti noi. Scusa se ti ho un po’ strumentalizzato, spero comunque che qualche idea possa tornare utile a te e alla tua redazione, oltre che a quanti cercano tutti i giorni di rifondare il giornalismo professionale nell’era digitale.
Un sincero in bocca al lupo e buon lavoro a te, alle colleghe e ai colleghi che ti accompagneranno nell’impresa. Per qualunque chiarimento, basta fare un fischio :-)
Mario