Il giornalista nell’universo digitale e le sue fonti: 2/ Controllare anche la mamma

Verifica, fattualità e verità

Mario Tedeschini-Lalli
13 min readJul 21, 2019

Nei mesi scorsi sono stato cortesemente invitato a preparare una serie di video per un corso online di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti sul “problema delle fonti”, che è ora disponibile attraverso la piattaforma SIGEF così descritto:

Fonti nuove e vecchie, regole antiche e moderne applicazioni. Il giornalista nell’universo digitale esercita il suo ruolo innanzitutto applicando il metodo che gli è proprio e lo rende riconoscibile: saper risalire l’albero delle informazioni e offrire al cittadino gli strumenti per farlo, riconoscere le fonti, citarle, verificarle, proteggerle. Essere ancora testimone, raccontare in modo credibile e trasparente i fatti. A questo si aggiungono poi competenze nuove: l’uso delle fonti aperte, le potenzialità offerte dai media sociali, le enormi risorse offerte dai dati. Un corso aperto al dibattito, ricco di spunti, aneddoti, cold cases per capire come l’universo digitale e la disintermediazione possano offrire opportunità e vantaggi competitivi ai giornalisti in grado di approfittarne.

Alcune persone mi hanno chiesto i testi di quei video, pubblico qui i miei appunti originali utilizzati nella loro grandissima parte per il corso, dopo qualche taglio per renderli della durata giusta (grazie ai colleghi della produzione!). Il corso si intitola “Il giornalista nell’universo digitale e l’albero delle fonti” ed è diviso in quattro parti. La seconda parte la trovate qui sotto, le altre sono linkate.

  1. L’albero della informazioni
  2. Controllare anche la mamma
  3. Di suole e di scarpe digitali
  4. Proteggere le fonti, proteggere il giornalismo
di Stephanie Willen Brown, Deciphering Fake News, 31 marzo 2017. CC Attribution License

2/ Controllare anche la mamma

Nella prima parte di questo nostro ragionamento, ci siamo chiesti che cosa resti del giornalismo in un mondo dove l’attività del “pubblicare” non identifica più un settore industriale e una professione, ma semplicemente l’azione di cliccare sul tasto “pubblica” o “invio”. Un mondo nel quale — ripetiamo — volenti o nolenti abitiamo.

La risposta che ci siamo dati è che il giornalismo è definito ora e sempre dal suo metodo, non dai canali utilizzati o dai suoi autori:

E’ giornalismo l’informazione raccolta, elaborata e diffusa secondo il metodo giornalistico.

Il metodo giornalistico è formato di norme, codici e anche — moltissimo! — di costumi, abitudini. Un elemento comunque fondamentale è… su, diciamola la parolaccia: elemento fondamentale è la verità.

Mi scuserete se evito in questo contesto di riaprire una discussione filosofica su che cosa sia… e se sia anche solo immaginabile l’esistenza di una cosa chiamata Verità, con la maiuscola… E tuttavia è una parola che dobbiamo tornare a usare, anche solo perché è scritta a chiare lettere nell’articolo 2 della legge numero 69 del 1963 — quella che, nel bene e nel male, fonda l’esistenza di una professione giornalistica in Italia…

…i giornalisti hanno “l’obbligo inderogabile” di rispettare “la verità sostanziale dei fatti”.

Dice proprio così: “obbligo inderogabile”.

E come debba comportarsi in pratica chi vuol fare del giornalismo per rispettare questo obbligo, lo precisa al primo punto del primo articolo il Testo unico dei doveri. Il giornalista:

…ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti.

Rieccola la verità

…ma abbiamo detto che non vogliamo far discussioni filosofiche — anche perché nel corso degli anni le diatribe sulla esistenza o inesistenza della verità e sulla possibilità che essa emerga nei giornali sono state spesso uno scudo meraviglioso per sostenere l’idea che essendo la verità impossibile, scriviamo un po’ quello che ci pare.

Concentriamoci allora sul metodo: sull’impegno alla “maggiore accuratezza possibile”. Certo, non può esistere una “accuratezza assoluta”, ma almeno dobbiamo fare uno sforzo per esserlo, accurati… questo sforzo implica

  • che le nostre fonti siano verificate
  • che siano verificate le informazioni che dalle nostre fonti traiamo

La verifica delle fonti è una cosa che diamo talmente per scontata, che a volte ce ne dimentichiamo.

Per cominciare, una fonte giornalistica, una fonte cioè che possa essere usata credibilmente in prodotti di informazione di giornalismo, deve essere nota. Cioè, almeno il giornalista deve sapere chi sia. Sembra una ovvietà, ma vale la pena di ribadirlo.

Spesso si parla della grande produzione di informazioni non giornalistiche in rete come di un problema grave. Si sente dire che l’informazione giornalistica di qualità è travolta e sepolta dall’informazione un tanto al chilo, dalle fantasie, dai miti, dalle bufale… che sulla rete si raccontano e si moltiplicano.

Non è questo il contesto giusto per discutere se e quanto questa visione delle tecnologie digitali sia realistica (o non invece consolatoria ed assolutoria rispetto a pratiche non sempre nobili anche del giornalismo professionale), quello che qui è importante affermare è un concetto essenziale:

Internet, le tecnologie digitali e le relazioni che queste hanno abilitato sono la cosa più bella che poteva capitare al mestiere del giornalista… non forse per il modello di affari sul quale il giornalismo professionale si è basato per oltre un secolo e mezzo, ma per il mestiere di giornalista sì: è più facile fare giornalismo oggi con questi strumenti a nostra disposizione che quando questi strumenti non li avevamo.

La verifica delle fonti e — come vedremo — tutte le attività di verifica in genere ne sono l’esempio tipico.

Non ci sono più scuse: una gran parte delle informazioni relative a una persona, a una istituzione o a un’azienda sono a distanza solo di un paio di click ben assestati.

Se incontriamo qualcuno che ci racconta una cosa interessante ma non sappiamo chi sia, non ci sono scuse per non cercare di saperne di più — e se per caso non trovassimo le informazioni che ci servono, forse questo dovrebbe indurci a una dose extra di scetticismo e di prudenza.

Questo, naturalmente, vale sia per le fonti — come dire? ;-) — analogiche, sia per le fonti digitali.

E’ un meccanismo che dovremmo applicare tutti, in quanto cittadini, e che dovremmo insegnare nelle scuole — in ogni caso è certamente dovere dei giornalisti utilizzarlo. Anzi, come dice il nostro Testo unico, è loro obbligo.

Naturalmente, sapere con esattezza chi sia la nostra fonte è una condizione necessaria ma non sufficiente per decidere di usare le informazioni che ci propone.

  • Dovremmo cercare di capire quale “autorità” ha per affermare/raccontare ciò che afferma o racconta…

— E’ un testimone?

— Quale conoscenza ha della questione? ecc.

  • Dovremmo valutare se ci sono ed eventualmente quali siano motivi particolari per cui ci dà l’informazione…

Sono tutte questioni importantissime che riguardano l’analisi del contesto, elemento certo cruciale del lavoro giornalistico, ma non sono tecnicamente questioni che riguardano propriamente le attività di verifica.

Ciò che possiamo e dobbiamo verificare sono i contenuti fattuali delle informazioni che ci sono fornite. Cioè: non basta che qualcuno, magari ritenuto autorevole, affermi qualcosa, perché ciò diventi necessariamente oggetto di cronaca. (Lo abbiamo detto nella prima parte di questo corso: la libertà delle fonti di parlare al pubblico per conto proprio ci solleva da molti obblighi di registrazione passiva della loro comunicazione…)

Ho parlato di contenuti fattuali.

Naturalmente il giornalismo non si limita a verificare i fatti, li scopre, li paragona ad altri fatti, li analizza, li contestualizza, li spiega, li inserisce in un racconto… tutto questo è giornalismo — e tutto questo va fatto al meglio delle nostre possibilità, secondo i criteri etico-deontologici che sappiamo, ma non è necessariamente un’azione di “verifica”.

  • Si noterà l’ovvia radice comune tra la verità cui siamo obbligati, e la verifica come strumento per approssimare questa verità.
  • Ma un fatto non è la verità, un fatto è semplicemente un fatto..
  • Ci possono essere fatti scelti ad arte, che opportunamente selezionati e allineati disegnano un quadro sostanzialmente non veritiero (ecco che vuole dire il nostro “Testo unico” quando parla di verità sostanziale!): è quella che noi chiamiamo tendenziosità.
  • Si apre il problema della “scelta” dei fatti/dati da utilizzare per costruire un contesto interpretativo, ma un fatto, per qualunque ragione sia scelto, è tale e come tale verificabile .

Il fatto, il dato è ciò che può essere in effetti verificato.

L’opinione, la interpretazione dei fatti e dei dati stessi possono essere discussi — magari adducendo altri fatti e altri dati — ma non possono in senso stretto essere verificati.

Facciamo un esempio…

Prendiamo Mahmood, il vincitore del Festival di Sanremo del 2019 (l’anno di questa nostra registrazione), che ha anche suscitato una paradossale polemica politica…

  • se io dico che la sua era la canzone più bella del Festival, esprimo una opinione
  • se dico che ha ottenuto il 38,92 per cento dei voti nella classifica finale, racconto un fatto

Un fatto può informare in un senso o nell’altro la mia opinione, ma in quanto tale può essere verificato (per esempio sulle tabelle della RAI, organizzatrice dell’evento), mentre l’opinione — come si diceva — può essere solo discussa.

***

La verifica giornalistica può applicarsi a diversi ambiti e avere diversi scopi, alcuni dei quali sono diventati formati giornalistici in sé, a volte con redattori dedicati, per esempio:

  • Il fact-checking — Cioè la verifica delle affermazioni fattuali di personalità pubbliche, con la comunicazione dei risultati ai cittadini/utenti
  • Il debunking — Cioè la verifica e lo svelamento di informazioni, spesso di natura fantasiosa e apparentemente straordinaria, che circolano nell’opinione pubblica — le cosiddette bufale.

Una volta che il giornalista abbia in effetti verificato la infondatezza di una informazione è opportuno e doveroso che lo comunichi al pubblico: nessuna regola etico/deontologica impone di raccontare fatti contrastanti, alcuni dei quali ci risultino infondati… se fuori c’è il sole e un personaggio autorevole afferma che sta piovendo, noi abbiamo il dovere di dire semplicemente che fuori c’è il sole.

Questo vale tanto per i giornalisti di servizio pubblico, quanto per i giornalisti di testate private

Naturalmente, ciò funziona per i fatti verificati — e, come abbiamo visto, un fatto o una serie di fatti non bastano a rendere una informazione completa e utile.

Il fact-checking, in realtà, prende il nome dai desk specializzati in molti periodici — in particolare stranieri — incaricati di verificare ogni singolo dato e affermazione fattuale contenuta in un pezzo giornalistico… sono rimasti celebri, per esempio, i desk di fact checking delle redazioni di Time magazine e del New Yorker.

Perché la verifica dei dati e dei fatti è caratteristica intrinseca del processo di raccolta e organizzazione delle informazioni di tipo giornalistico.

Un esempio piuttosto clamoroso lo raccontò nel 2012 Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia che scrive una rubrica due volte alla settimana sul New York Times.

  • Prima cosa: anche un Premio Nobel ha un redattore che gli controlla il pezzo
  • Secondo: per ogni volta che manda un pezzo al giornale, Krugman deve fornire una lista di fonti che corroborano i dati e le affermazioni di fatto contenute nel testo
  • Terzo: il redattore legge e controlla, se c’è qualcosa che non lo convince
  1. chiede ulteriori spiegazioni a Krugman
  2. se le spiegazioni funzionano, il pezzo si pubblica
  3. se le spiegazioni non sono sufficienti i due negoziano una formulazione nuova e verificabile
  4. se non si mettono d’accordo il redattore vince e il premio Nobel perde.

Silvano Rizza, mio vecchio direttore e maestro, oltre che fondatore delle scuole di giornalismo in Italia, amava dire che il giornalista deve coltivare la cultura del dubbio, ma non la cultura del sospetto: controllare tutto, ma non cedere alla febbre del complottismo o di cercare ovunque e a prescindere doppi fondi di verità.

Un esempio personale dei rischi cui si va incontro quando la cultura del sospetto fa premio sulla cultura del dubbio:

  • il 12 maggio del 2012 una bomba artigianale esplose davanti all’istituto professionale Francesca Morvillo Falcone di Brindisi. Morì una ragazza e altre dieci persone restarono ferite.
  • per un paio di settimane le indagini girarono un po’ a vuoto, mentre sui giornali si moltiplicavano le ipotesi: la Sacra corona unita o addirittura un qualche attacco terroristico islamico…
  • dagli inquirenti filtrò l’informazione che l’ordigno era costituito da bombole del gas
  • esperti ingegneri spiegarono che le immagini del luogo dell’esplosione facevano escludere che fossero esplose bombole di gas. “Che sia successo non lo sappiamo”, dicevano gli ingegneri, ma qui qualcuno ci sta mentendo, dunque ci nasconde qualcosa.
  • il caso fu risolto il 6 giugno, con l’arresto di un balordo che ce l’aveva su con lo Stato per una truffa della quale era stato vittima.
  • E’ le bombole? …erano in effetti bombole del gas… ma erano state riempite di nitrato di sodio, carbone e zolfo, non di gas!
  • Ecco perché nelle immagini disponibili non si vedevano gli effetti di una esplosione di gas…

Che era successo? Nessuno aveva mentito, le bombole erano bombole del gas. Gli osservatori, compresi alcuni giornalisti come io stesso, dedussero da questo che dovessero essere piene di gas — e invece non lo erano.

Detto in altre parole: non avevamo a disposizione tutti i dati necessari,
un dato — quello essenziale, relativo all’esplosivo — lo avevamo solo supposto, pensando invece di conoscerlo per certo.

E’ solo un esempio per dire come anche le attività di verifica e fact-checking possano portare a conclusioni distanti dalla verità, da quella verità sostanziale che abbiamo detto è il nostro scopo professionale.

E tuttavia — come si sentono ripetere da almeno un secolo i cronisti americani: “If your mother tells you she loves you, check it out” — Se mamma ti dice che ti vuol bene, controlla.

Il controllo delle informazioni proprie (per il cronista e l’inviato), o altrui (per il responsabile della redazione ), non è un optional.

Quando in via straordinaria noi e in nostri capi redattori decidiamo di pubblicare una notizia della quale non siamo stati in grado di verificare l’attendibilità sarebbe opportuno che la circostanza sia resa nota al pubblico.

In questi casi il giornalista deve fare per mestiere quello che nell’universo digitale dovrebbero imparare a fare tutti i cittadini, quello che nella prima parte abbiamo chiamato “risalire l’albero delle informazioni” .

La Rete, d’altra parte, ci offre strumenti straordinari per farlo. Ci sono anche persone e organizzazioni — alcune giornalistiche, altre no — che si occupano proprio di questo.

Per esempio il sito Bufalopedia del giornalista Paolo Attivissimo.

Paolo Attivissimo smonta di persona parecchie balle che girano, ma ha anche pubblicato un utile elenco di siti analoghi che possiamo usare. Lo possiamo trovare all’indirizzo: http://tinyurl.com/antibufala.

Ecco i suoi consigli per chi vuole “risalire l’albero delle informazioni”:

1. Controlliamo il sito che dà l’informazione: è una fonte accreditata per l’argomento? — Guardate in particolare l’indirizzo: esistono siti che costruiscono bufale in serie per fare soldi con la pubblicità e che hanno nomi che assomigliano a quelli di testate giornalistiche accreditate. (ES: Il Corriere della Pera, invece del Corriere della Sera)

2. Controlliamo la data delle foto e dei video. Certe volte una foto può essere vera, ma si riferisce a fatti passati che non c’entrano niente. Ci sono tanti strumenti per farlo. — Per esempio, su Google c’è la possibilità di fare una ricerca di immagini “inversa, cioè:

  • non cercare una immagine partendo da un argomento
  • ma partire da una immagine per vedere se è già stata pubblicata, dove e quando. Basta copiare e incollare l’indirizzo web della nostra immagine (URL) o caricare sul motore di ricerca l’immagine che abbiamo sul computer.

Può capitare a tutti di prendere lucciole per lanterne: nel 2012 il sito della National Public Radio (NPR) — la grande rete pubblica americana — dovette scusarsi perché aveva preso per buona e aveva pubblicato una foto di soldati di guardia alla tomba del milite ignoto durante l’uragano Sandy.

La foto era vera… ma era stata scattata in un giorno di pioggia mesi prima, non durante l’uragano.

L’episodio è particolarmente interessante perché dimostra come il problema delle fonti non sia di facile soluzione e come anche le fonti più accreditate possono trarre in inganno.

In questo caso la foto era stata pubblicata sulla pagina Facebook della I divisione dell’Esercito degli Stati Uniti, dalla quale dipende il reggimento della guardia d’onore!

… ma allora non ci possiamo fidare di nessuno?!

beh — com’è che dicevamo? — if your mother tells you she loves you,check it out! ;-)

In maniera analoga, per avere informazioni sui video di YouTube possiamo controllare — per esempio — su una pagina speciale del sito americano di Amnesty International: basta caricare l’indirizzo web (URL) del video per ottenere alcune informazioni essenziali… quella più importante: la data e l’ora nelle quali il video è stato caricato.

Ci sono anche alcuni fermo-immagine tratti dal video, con un link diretto al servizio di ricerca inversa delle immagini di Google: basta un click per scoprire se le immagini contenute nel video sono state usate anche altrove.

3. Controlliamo nei motori di ricerca i nomi delle persone e dei luoghi citati nella notizia, per esempio facendo un uso intelligente di Google Maps e della sua funzionalità “street view”, che consente di “passeggiare” virtualmente guardandosi intorno per le strade di una grandissima parte delle strade del mondo.

***

Pochi minuti non bastano a spiegare tutto quello che la rete ci offre in questo campo — che è piuttosto materia per workshop a se stante — ma esistono come si è detto siti e organizzazioni che possono esserci molto di aiuto.

Io partirei sempre da Bufalopedia, la preziosissima pagina di Paolo Attivissimo che ho citato prima, un elenco costantemente aggiornato…

  • di altri siti di smascheramento di bufale in italiano, in inglese e in francese
  • link agli strumenti online per verificare
  • di veri e propri manuali

Tra questi ultimi:

  • La guida dello stesso Paolo Attivissimo, Come diventare detective antibufala, dedicata in realtà a non-giornalisti… ma fa bene anche a noi;-)
  • Il “Verification Handbook” dello European Journalism Center, un manuale gratuito per la verifica delle notizie in rete, che — a dispetto del suo titolo — si trova anche in italiano ed è pieno di esempi utili.
  • Assai più sintetici il video e la pagina dedicata alla verifica online della BBC Academy, che si concentra in particolare sul materiale informativo prodotto da non professionisti (il cosiddetto Users Generated Content, o UGC)
  • Dedicato in particolar modo ai giornalisti e alle redazioni è il sito di First Draft News, una coalizione di testate e ONG di tutto il mondo che si impegnano a verificare le informazioni e combattere la disinformazione. Offrono incontri, conferenze, manuali e — specialmente — organizzano occasioni di collaborazione anche internazionale tra diverse organizzazioni.

Noi giornalisti pensiamo di essere smagati, ma come insegna il caso della NPR citato sopra, siamo perfettamente in grado anche noi di scrivere, trasmettere e diffondere corbellerie — solo che le corbellerie scritte, trasmesse e diffuse da noi hanno un peso e conseguenze assai maggiori. Perché noi dovremmo essere proprio quelli che di mestiere dubitano, di mestiere indagano, di mestiere svelano, di mestiere chiariscono… come dire?… ci pagano proprio per questo.

Vale cioè per noi anche più che per gli altri la fondamentale regola che ormai si insegna anche ai ragazzini delle medie: prima di condividere, o di scrivere, o di trasmettere, o comunque di diffondere… innesta il cervello.

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Vai alle altre parti del corso:

  1. L’albero della informazioni
  2. Controllare anche la mamma
  3. Di suole e di scarpe digitali
  4. Proteggere le fonti, proteggere il giornalismo

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Mario Tedeschini-Lalli
Mario Tedeschini-Lalli

Written by Mario Tedeschini-Lalli

Antico giornalista. Consulente di editoria digitale. Docente di Giornalismo digitale. Studioso di Storia contemporanea. Blog (2003/18): http://bit.ly/blogmario