L’incubo
di Villa Maria

Saul Steinberg, l’architettura, il fascismo e l’OSS

Mario Tedeschini-Lalli
7 min readMay 13, 2015

[An English version of this article available here]

Gli incubi possono assumere forme e colori diversi, quelli di Saul Steinberg — almeno alcuni — presero la forma di edifici modernisti. L’artista, celebre per le sue illustrazioni sul New Yorker, era di formazione un architetto e anche se non costruì mai neppure una casa, per anni, anzi per decenni disegnò edifici grandi e piccoli che prendevano in giro il cosiddetto Movimento moderno, uno stile che detestava come simbolo di un mondo che lo aveva sedotto da giovane e lo aveva poi malamente abbandonato. Era il mondo dell’Italia tra le due guerre, in particolare Milano, dove ufficialmente aveva studiato Architettura ma in realtà trovò i primi successi come vignettista del giornale umoristico Bertoldo — finché non fu costretto a lasciare il Paese dalle leggi razziali di Benito Mussolini.

Steinberg ottenne la sua inutile laurea dal Politecnico di Milano nel 1940, prima di essere costretto ad “accettare la realtà, il tradimento. La cara Italia, che diventò Rumania, patria infernale” e a fuggire in America. Ora il Politecnico celebra il suo ex studente con “Saul Steinberg a Milano”, una mostra e un seminario che raccontano il complicato rapporto tra l’artista, la città e, in fondo, una cultura alla quale non gli fu concesso di appartenere.

Via Ampere, 1936, matita e matita colorata su carta, 46.7 x 61.9 cm. The Saul Steinberg Foundation, New York. Pubblicato originariamente su The New Yorker, 7 ottobre 1974.

Steinberg non disegnò mai Milano mentre ci viveva, tra il 1933 e il 1941, ma lo fece molti anni più tardi con ripetuta intenzionalità. Nel 1974 pubblicò un “portfolio” sul New Yorker intitolato “Italy 1938”, tutto di disegni “a memoria”. Prendiamo “Via Ampere”, la strada dove in effetti visse appena arrivato in città (e dove si tiene la mostra di questi giorni): un edificio privo di qualunque caratteristica particolare è messo in ombra da una chiesa di stile modernista, con gli evidentissimi tratti del razionalismo architettonico italiano portati ad estreme e volgari conseguenze. Doveva essere il simbolo di tutto ciò che egli disprezzava di quel periodo, ma per rendere ancora più chiaro il significato ad osservatori degli anni ’70 che potevano non coglierlo, animò la scena con vignette di fascisti che salutano.

“Quando ho visitato Asmara nel 1965 — scriverà qualche anno più tardi — ho visto l’incubo di un architetto: i suoi progetti di studente diventati cemento. (…) Ciò che vidi ad Asmara erano più o meno i nostri lavori di studenti , da Bauhaus milanese e napoletano, costruiti durante l’occupazione italiana dell’Etiopia”.

Nel lavoro di Steinberg ci sono molti esempi di parodie di “Bauhaus milanese” come “Via Ampere”, ma il “Bauhaus napoletano”?

Villa Maria, 1972. Inchiostro e matita su carta, 49.5 x 64.8 cm

Io ne ho trovato uno solo, un disegno dove la storia personale dell’artista si confonde con la Storia. Vale la pena di raccontarla.

È stato disegnato nel 1972 ed esposto alla Galerie Maeght di Parigi l’anno seguente: un’ampia caricatura parzialmente colorata di una villa razionalista, piena di rivelatrici vignette di pupazzi in camicia nera. Dunque dovrebbe essere l’Italia sotto il fascismo, no? E dovrebbe trattarsi di Napoli, dato che affaccia su un golfo con un vulcano fumante.

Villa Maria No. 1, 1969, inchiostro, matita e pastelli su carta, 49.8 x 64.8 cm. The Art Institute of Chicago; dono di The Saul Steinberg Foundation.

Ma questo non è l’ennesimo edificio di fantasia. Deve avere avuto una qualche importanza per Steinberg, visto che tre anni prima ne aveva fatto un altro schizzo. Lì le parole “Villa Maria” che campeggiano sulla facciata dell’edificio rivelano un indizio sul quale val la pena di indagare.

Fuggito dall’Italia e arrivato negli Stati Uniti passando per la Repubblica dominicana, Steinberg nel 1943 divenne cittadino americano e con l’aiuto del New Yorker fu arruolato come ufficiale di complemento della Marina militare. Fu assegnato al servizio di intelligence navale che lo mandò prima in Cina e poi nel teatro mediterraneo quale artista dell’unità Morale Operations dell’OSS (l’Office of Strategic Services, il precursore della CIA). Con questo incarico sbarcò nuovamente in Italia nel marzo 1944, dove restò e lavorò sette mesi. Ritornato alla sede centrale di Washington, l’OSS chiese a lui come a tutti gli agenti di ritorno da una missione di scrivere un rapporto. Beh, Steinberg non scrisse alcun rapporto — lo disegnò.

Il rapporto di Steinberg del 1945. (NARA, RGG 226, Entry 99, Box 40, folder 6).

Lo potete trovare all’archivio nazionale americano (NARA) tra i documenti desecretati della CIA. È grosso fascicolo con una copertina di cartone marrone e due timbri “Secret” molto impressionanti sulla burocratica etichetta dell’Ufficio Rapporti: “Collezione di vignette prodotte dall’artista MO, Lt. (jg) Saul Steinberg — Obiettivo Germania per OWI, PWB, e MO/US, MTO & ETO”. Un po’ più sotto Steinberg incollò altre etichette di propria personale fattura, una è nera con la sigla MO. Sta per Morale Operations, l’unità che produceva la “propaganda nera” (black propaganda) destinata a minare il morale del nemico con falsi messaggi e comunicazioni.

Il rapporto di Steinberg del 1945. (NARA, RGG 226, Entry 99, Box 40, folder 6).

Nel fascicolo, insieme a esempi di vignette anti-naziste, Steinberg inserì tre pagine che descrivono le località del suo lavoro sul campo per l’OSS: Napoli, Algeri e Roma.

Si tratta di riproduzioni fotografiche di collage di cartoline e altri souvenir dei luoghi, con l’aggiunta di un disegno originale. Quello di Napoli è chiaramente indicato come “Villa Maria”, in effetti uno dei centri dell’OSS nella città occupata dagli alleati nell’ottobre 1943.

Il delizioso schizzo di Steinberg mostra personale MO che scrive, taglia e incolla materiale di propaganda, mentre dalla finestra si può vedere il golfo pieno di navi e di palloni frenati antiaerei, completo di Vesuvio (il vulcano peraltro eruttò proprio nel 1944).

Il rapporto di Steinberg del 1945, dettaglio, immagine dell’autore. (NARA, RGG 226, Entry 99, Box 40, folder 6).

Appare molto simile alla scena che è ripresa negli assai più tardi disegni di Villa Maria — con un’unica, importante eccezione: le porte della stanza sono molto ornate, nulla a che fare con le line essenziali di qualunque architettura di stile razionalista.

Villa Maria fu in realtà costruita all’inizio del Novecento in un blando stile neoclassico dal diplomatico italiano Giulio Cesare Montagna sulla collina di Posillipo, all’epoca alla periferia della città. La villa è ancora là, usata per matrimoni e altre cerimonie. È là anche la bellissima vista (meno i palloni frenati), come anche gli interni ornati che si vedono nel disegno del 1945. Ma nessuna “architettura fascista” in vista.

Villa Maria nel maggio 2009, immagini dell’autore

Ciò nonostante, trent’anni più tardi, Steinberg trasformerà questo edificio in un’altra caricatura dello stile architettonico che considerava simbolo arrogante di repressione, pieno di figurine appese ai balconi e sui diversi piani come decorazioni su un albero di Natale.

Sì, è il “Bauhaus napoletano” — e anche più di quanto s’immagini.

“Bau als Bühne” o “L’edificio come palcoscenico”, foto di T. Lux Feininger, 1927, The J. Paul Getty Museum Los Angeles. Copyright © Estate of T. Lux Feininger

Decenni prima, quando Steinberg stava entrando al liceo, proprio il Bauhaus di Dessau aveva organizzato una performance teatrale nella quale sei attori “posano con maschere e costumi”. È il concetto dello “Edificio come palcoscenico” (Bau als Bühne), come spiega il sito web della Fondazione Bauhaus: “Invece di recitare in un modo libero e non costretto, [gli attori] seguono una rigida coreografia che sottolinea le verticali e le diagonali. Questo fa sì che gli attori appaiano quasi come elementi architettonici”. Maschere, personaggi in costume sui diversi piani di un vero e proprio edificio Bauhaus — anzi l’edificio Bauhaus per antonomasia, progettato dallo stesso Walter Gropius. Una cosa non molto diversa da ciò che farà spesso Steinberg: usare gli edifici che aveva imparato a disegnare come palcoscenici per le caricature della gente che aveva imparato a detestare — con quelle figure astratte che diventavano parte integrale degli edifici.

Vignette e Architettura insieme, o Bertoldo e il Politecnico: le due istituzioni che avevano racchiuso le sue prime sortite nell’età adulta e nell’arte.

Per tutti i lavori di Steinberg Copyright © The Saul Steinberg Foundation.

L’autore è grato a Sheila Schwartz, Director of Research and Archives della fondazione, per il suo costante aiuto e a Conrad Feininger per l’autorizzazione a pubblicare la fotografia “Bau als Bühne”.

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Mario Tedeschini-Lalli
Mario Tedeschini-Lalli

Written by Mario Tedeschini-Lalli

Antico giornalista. Consulente di editoria digitale. Docente di Giornalismo digitale. Studioso di Storia contemporanea. Blog (2003/18): http://bit.ly/blogmario

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